11/14/2011







Regime. Possiamo meccanicamente definirlo come la temporanea condizione d'equilibrio assunta da un sistema di forze politiche che interagiscono nel contesto di uno stato. 

Un regime, dunque, in base a questa definizione è intrinsecamente transitorio. La transizione da un regime ad un altro è un evento complesso (vale a dire un insieme di eventi semplici tra loro correlati), cui ci si riferisce comunemente con l'espressione  "cambio di regime". 

Un cambio di regime è qualcosa che accade quando si da il ricambio quantomeno  massivo, se non totale, della classe (ceto) politico al potere; si può dire che questa sia una condizione necessaria ad un cambio di regime, sebbene non sia sufficiente: perché vi sia un cambio di regime, oltre alla sostituzione della classe politica al potere, occorre di solito anche che si dia  una mutazione  della forma di governo (che so: da monarchia a repubblica, da repubblica a monarchia etc.); ma questo ancora non basta, per poter parlare di cambio di regime in uno stato occorre soprattutto che si dia  una mutazione  significativa delle finalità politiche fondamentali perseguite dallo stato stesso. Queste finalità fondamentali sono essenzialmente rispecchiate dalla scelta dei criteri in base ai quali organizzare la distribuzione delle risorse disponibili all'interno dello stato in questione (chi magna e chi non magna, chi magna per primo, chi per secondo, quanto magna chi magna, etc.). 

Da quando esiste lo stato italiano unitario, fino ad oggi, al suo interno si sono registrati due cambi di regime. 
Uno in occasione dell'avvento del fascismo, l'altro dell'instaurazione della repubblica — ed in tutti e due i casi sono state delle cause esterne – due crisi globali del capitalismo e le due guerre che ne sono conseguite – a determinare questi cambi di regime.

Forse tre. 
Se la fine della cosiddetta "prima repubblica" deve essere considerata tale, vale a dire un cambio di regime. 
In effetti un sostanziale ricambio della classe politica allora c'è stato (e ci abbiamo guadagnato i berlusconi e i d'alema che meritavamo, in luogo degli andreotti, dei bettini, dei berlinguerri che pure meritavamo – non sempre da un cambio di regime si trae guadagno, anzi, di male si può scivolare facilmente in peggio). 
Vi è stata pure una mutazione nella forma di governo: non abbiamo fatto la repubblica presidenziale, ma quella bi-polare almeno sì.
Soprattutto vi è stata una mutazione dei criteri in base ai quali organizzare la distribuzione delle risorse disponibili all'interno dello stato, sotto forma della transizione dal capitalismo socialdemocristiano light al liberismo da operetta del Fascio 2.0 ( operetta in cui le pagine più credibili sono state scritte, per altro, non dal teleduce berlusconi ma dai cascami del partito comunista italiano, che ci ha regalato quella riforma del diritto del lavoro in forza della quale siamo diventati più pezzenti e più schiavi). 

Molti, a partire da ieri sera, vogliono avere la sensazione rinfrancante di essersi liberati di qualcosa, di un peso che impediva da tempo ogni slancio politico verso la riconquista del diritto al futuro e simili vaghezze – la sensazione di vivere, insomma, un cambio di regime. Col quale saremmo a quattro (in meno di 100 anni cominciano ad essere assai: saremmo secondi solo alla Francia del 1800). 

Ma vediamo un pò di capire se è davvero cambiato qualche cosa da l'altro ieri a oggi. Cerchiamo di capire se stiamo uscendo da un regime e, se sì, per entrare in quale altro. 
"Comunque sia, si chiude un'epoca", così dice Fassino ( h 00:49, 14.XI.2011, primo canale). E vediamo un pò se non ha detto una fregnaccia. 

Ad occhio e croce qui non siamo alla fine di niente. 
Al contrario. 
Il "passo laterale" del teleduce berlusconi, infatti, anche dopo che si saranno consumate le rituali consultazioni elettorali (quando sarà), ci lascerà lo stesso ceto politico che avevamo (meno qualche stronzo, che sarà d'altronde sostituito da qualche altro stronzo), pure il teleduce stesso, probabilmente, resterà in scena. Avremo poi partiti e partitelli che ricalcheranno le sagome dei preesistenti, fatta salva una qualche prevedibile ridistribuzione del rispettivo peso elettorale.  
Non si registrerà, inoltre, nessuna mutazione sostanziale nella forma di governo: monarchie, repubbliche presidenziali, vicepresidenziali e ccos'...niente, non è aria (per fortuna). Forse ci sarà spazio per la terza (o quarta?) riforma elettorale degli ultimi 20 anni, tutto qua. 
Quanto poi a ciò che più conta, cioè all'orientamento economico-politico fondamentale dello stato, in questo passeremo semplicemente dal liberismo di facciata degli ultimi venti anni, ad un liberismo sostanziale, barricadero, imbonito alla piazza per mezzo di qualche addobbo superficiale (in nome dell "equità sociale" Monti, ad esempio, a Natale regalerà a tutti i pezzenti un panettone di marca, se faranno i bravi e si metteranno a pecorina come richiede l'interesse della nazione).

Questo non è un regime che cade sotto lo spauracchio del defolt, ma un regime che si consolida sotto lo spauracchio del defolt, sfiatando un poco la demokrazia – sommo bene.   
In effetti l'unico mutamento rilevante lo si è registrato  proprio rispetto allo stato di salute della demokrazia itagliana (per chi ci tiene): si è aggravata la democrazia. Mò ci lascia, mi sa... L'Itaglia era più democratica fino a l'altro ieri, con berlusconi e gasparri, che non oggi, il che è tutto dire. Che le cose stiano così è abbastanza evidente. Fino a l'altro ieri la democrazia era minacciata, adesso la democrazia è sospesa a tempo indeterminato, per problemi tecnici, dovuti all'emergenza. Un pò come a L'Aquila da quando è successo il terramouto. Monti sta a Bertolaso, come il defolt al terramouto. Il mercato è un entità naturale, a quanto pare, non un oggetto sociale. I suoi tiramenti di culo, cause di forza maggiore. Ed a queste cause bisogna rimettersi: quando si scatena la furia dei mercati, ci vuole il commissario gradito all'unione. Bisogna abituarsi. Questa d'ora innanzi sarà la normalità, e per di più non è neppure la prima volta. 
D'altronde è giusto che sia così: entrare nell'UE, cioè stare nella moneta, equivale da parte dello stato italiano ad abdicare ad una parte sostanziale della sua sovranità, e questo è quanto. La sorpresa (per modo di dire) è scoprire, come alcuni sembrano fare solo oggi, che l'abdicazione non avviene in favore di un'organismo politico elettivo (l'europarlamento) e di un dispositivo di governanzz transnazionale (la commissione), ma a favore del cosiddetto "mercato", in ossequio al quale parlamenti e commissioni esercitano le loro funzioni, ligi ed efficienti - simili, nel ruolo svolto, al partito comunista cinese. Se ne avessero gli stessi larghi poteri, allora sì che noi europei si farebbe il culo a tutti quanti. 
  
Io il defolt, comunque, già l'ho fatto. So fallito da tempo. Quindi il commissario non mi serve. 





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