11/12/2009

twentysixyears


Oggi, al bar della biblioteca in bianco&nero del mondo in cui all'insieme dei numeri naturali manca il 1968 - e l'ordine ne è sconvolto - mentre facevo la zuppetta di biscottini di cortesia caramellizzati, mentre succedeva molto altro ancora di tutto quanto non mi riguarda - e quindi me frego, perché sono in paese di consolidata tradizione democratica e posso star tranquillo che quel che non mi riguarda non mi deve riguardare o, quantomeno, tutti ci credono -
insomma Oggi e Nel Mentre ho visto il famoso giornale dell'economista - che si chiama "l'economista", anche nel senso di "lo sparagnino" – e l'ho chiesto in prestito ad un giovane Croato che mi ha detto: te lo puoi tenere. E presto si capirà perchè me lo ha detto.

Titolo di copertina: "Twenty years after the wall"

Sottotitolo: "so much gained, so much to lose" ( i.e. stato del mondo= stato avanzato di lascia o raddoppia)

Succo: "negli ultimi vent'anni (s'intende, quelli successivi alla cascata del muro di berlino - n.d.r.) la libertà economica ha sorpassato quella politica. E non diamo neppure per scontato che almeno la prima sia stata conquistata una volta per tutte"

Estratto:"(...)gli ultimi vent'anni hanno visto la libertà economica andare più avanti di quella politica (...) piuttosto che creare (sull'onda sismica del crollo del muro - n.d.r.) le condizioni per una democrazia invulnerabile, molti paesi, incluso, purtroppo qualcuno di quelli del vecchio patto di Varsavia, la maggior parte del mondo arabo e la cina, sono riusciti a dar corso a regimi svergognatamente autoritari (...) si presume che tali regimi dureranno."

Mò viene il bello: non traduco, per non togliere nulla allo splendore della lingua, la sento tutta già schioccare:

"By contrast (rispetto alla squallida arretratezza/fatiscenza politica che ammorba l'aria del Bel Pianeta-n.d.r.), 'globalisation',that awkward term that covers the FREE MOVEMENT of GOODS, CAPITALS, P E O P L E and ideas around the globe, has become the governing principle of commerce.

That does not mean it is universally accepted (...)

But few places openly oppose it. In the economic sphere ILLIBERALISM usually has to disguise itself (camuffarsi - n.d.r.) through governments trying to adapt it, stressing "capitalism with Chinese characteristics", "stakeholder capitalism" (vs. "shareholder capitalism"...robba nuova -n.d.r.),"fair trade" and so on.
Even after the crunch (=: 'a period of economic difficulty when it is difficult to borrow money from banks' -n.d.r.) , the commercial classes assume that the world will become more integrated: who can resist economic logic and technology?"

E già, chi può?

Il ragazzo, molto gentile, cui ho chiesto in prestito "L'Economista", come ho anticipato, mi ha detto : tienitelo tu. Io gli ho risposto: ma, come? un numero storico... Lui mi ha detto: io sono croato, lo so com'è andato il fatto del muro (...si vede che il giornale l'aveva comprato per leggere altre notizie o per togliersi la soddisfazione di dire questa cosa a qualcuno che glielo avesse chiesto in prestito).

Comunque, per i non Croati, la lezione del giornale bolscevico "the Economist" (oh, in Italia si dice che è un giornale comunista. O no?) si può così riassumere:

1) i paesi antidemocratici sono tanti, i paesi illiberali sono pochi (che è un altro modo per formulare la tesi iniziale). C'è un guaio però: c'è un paese che, a detta del giornale, conta in tutte e due gli insiemi: la Cina. Se invece di ragionare in termini di "paesi" ragioniamo in termini di capitali, merci e gente (come "l'economista" ci invita a fare, per apprezzare le meraviglie del sistema) allora scopriamo che i due insiemi sono quasi sovrapponibili...peccato che L'Economista non se ne sia voluto accorgere, sennò avrebbe potuto suggerire una tesi ancora più forte della sua tesi iniziale: siccome la libertà economica non è andata abbastanza avanti, quella politica stenta a decollare- e però, dopotutto, è un giornale comunista, no? quindi è meglio che queste cose le faccia dire a giornali di destra.

2) i cinesi (comunisti più dell'Economist) con il loro capitalismo, cinese anch'esso, sono la stessa cosa di quelli del commercio equo e degli intellettuali dissidenti che pur beccando un sacco di quattrini, tra docenze e consulenze, parlano di capitalismo etico; quindi: eticità=equità=illiberalità=cinesità.

3) la cina incombe in ogni ragionamento, altro che muro di berlino...ci voleva il muro di pechino (...questo, in fondo, pensa "l'economista".)

4) la "gente" è un entità dello stesso genere della "merce" e del "capitale" (le idee, poi, ci stanno sempre bene come guarnizione a questi discorsi): sono entità designate da termini massa, come lo sono l'acqua o il fango: di fatto esistono sparse (le pozzanghere e i mari, il capitale di un tornitore bresciano e quello della fiat), ma questo non è essenziale. La "gente" è un entità dello stesso genere della "merce" e del "capitale" ed alla stessa stregua dev'essere trattata: i capitali e le merci si muovono? allora pure la gente si deve muovere.
Grosso problema: siccome la gente di muove da sola (la gente è semovente) tende ad andare un pò dove crede anche se nessuno ce la manda - cosa che ancora non fanno così bene i bidoni di olio per i freni oppure i soldi, nemmeno quelli elettronici.
Quindi, a rischio di sembrare illiberali, si è reso necessario limitare un pò la libertà di movimeto della gente negli ultimi vent'anni ... ecco, diciamo che, ad esempio, se uno sta in Africa, al massimo può andare in Libia, toh...mica in Italia, sempre per fare un esempio.
"L'Economista", invece, dice che la gente va dove vuole, che non ha meno libertà di movimento delle marmitte dei trattori.
Questa è una bugia. Le bugie non si dicono: è molto illiberale.

Per finire: non lo si sapeva, ma pare ci sia stata una rivoluzione copernicana nel campo del sapere scientifico coperto dall' economia: fino a l'altroieri non era ancora una scienza in cui, per esprimersi in maniera colorita, un paradigma si era completamente affermato sugli altri, in forza dell'avere saputo definitivamente ed incontrovertibilmente spiegare alcuni fondamentali fatti nella sua pertinenza; diciamo che fino a l'altroieri l'economia era un pò nello stato dell'astronomia prima di Copernico. Da ieri, a quanto risulta a "L'Economista" s'è appurata la via della verità e quindi :"who can resist economic logic and technology?"

P.s.

Un uomo c'era!
Piero Sraffa (nella foto).
Grande economista precopernicano, e filosofo, pure, per vocazione naturale.
Mai abbastanza ricordato, egli è morto solo ventisei anni fa (twentysix).
Mai abbastanza ricordato, è ancora riesumabile.

2 comments:

Mario Pe(l)lacani said...

Sraffa... credo che una bocciofila da qualche parte si chiami cosi'.
L'economista, che scopriamo cosi' non essere comunista, (ma le cui copertine sono oggi sfruttate dai dicitori di economics come quelle con le donne nude dell'espresso negli ottanta/primi novanta dagli onanisti) parla per voce di centinaia di poveri oscuri funzionari del fondo monetario che non capiscono come mai dopo gli evidenti successi riportati in Cile e Argentina non gli affidino la gestione della Cina tutta.

Il pensiero va inevitabilmente a quella gente che nella sua semovenza ha incrociato quelle merci con movenze a volte un tantino illegali composte da impugnatura, grilletto, canna e poco altro e insieme hanno prodotto strane fratture spazio temporali

Mario Pe(l)lacani said...

quindi la risposta e' si, anche nella terra delle marmotte sfrantumano i maroni col ventennio, pardon, con il ventennale della crescita della liberta' e della ricchezza per tutti quelli che se la sono presa

ti segnalo l'incipit dello spettacolo che Marco Paolini ha fatto in diretta dal porto di Taranto tra un "muro" di contanier:
quando quelli dell'est entrarono all'ovest, quelli dell'ovest gli chiesero: "avete un marco?"
Est: "Un marco, e che ci dovremmo fare?"
Ovest: "E' per il carrello del supermercato"

sublime

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